Corrisponde alla porzione tendinea terminale del muscolo del polpaccio (tricipite surale) che si inserisce al calcagno ; è molto superficiale e ben visibile e palpabile alla regione posteriore della caviglia. E’ il tendine più grosso e robusto dell’organismo ; durante la contrazione del tricipite surale il tendine di Achille trasmette la forza al calcagno e permette di conseguenza movimenti quali la posizione in punta di piedi e la propulsione della marcia e della corsa. Nel suo contesto è presente una zona poco vascolarizzata a qualche centimetro dal calcagno più vulnerabile e suscettibile alle rotture. Non è completamente chiaro il meccanismo alla base delle rotture spontanee del tendine di Achille ; solo in casi relativamente rari questa avviene su un tendine patologico o francamente degenerato , nella maggior parte dei casi in Pazienti in precedenza asintomatici verosimilmente per una brusca contrazione del muscolo su un tendine già in tensione per posizione del piede in dorsiflessione.
La rottura si verifica generalmente in soggetti di sesso maschile di fascia di età tra 40-60 anni più frequentemente nel corso di attività sportive che prevedono scatti o balzi (calcetto , tennis , basket,..) ; è tipico un dolore acuto e improvviso alla parte posteriore della gamba (il Paziente spesso riferisce la sensazione di essere stato colpito da una pietra o da una bastonata) con conseguente frequente impotenza funzionale e difficoltà o impossibilità alla spinta del passo. Nelle ore successive compare una tumefazione diffusa al piede ed alla gamba con frequente presenza di eccimosi.
Approfondimenti
La diagnosi è quasi sempre agevole e possibile con l’anamnesi e con il semplice esame clinico. Alla palpazione si rileva interruzione della continuità del tendine con un caratteristico avvallamento a 3-5 cm dalla inserzione calcaneale (segno del “colpo d’ascia”) ; se l’esame viene effettuato precocemente l’interruzione è visibile al semplice esame ispettivo. Un altro elemento caratteristico è il segno di Thompson ; con il Paziente prono e rilassato si comprime il ventre muscolare del tricipite ; se il tendine è in continuità il piede flette plantarmente mentre se è interrotto non si evidenzia alcun movimento. Dal punto di vista della diagnostica strumentale l’esame più indicativo è l’ecografia che viene eseguita non tanto per la diagnosi (questa è già possibile con l’esame clinico) quanto per disporre di una documentazione preoperatoria ; altri esami di II livello come la RMN non sono in genere necessari ed anzi sono poco indicativi in fase precoce.
L’intervento si rende necessario per un recupero ottimale della funzionalità del piede e dell’arto inferiore in genere , soprattutto nella fase di spinta del passo.
Può essere considerato un trattamento conservativo con tutore o apparecchio gessato ma la cicatrizzazione del tendine avviene in generale in allungamento e pertanto con perdita di forza del tricipite che compromette soprattutto la fase di spinta del passo ; un altro problema è la maggior frequenza di rirotture a seguito del trattamento conservativo. Questo viene pertanto riservato a soggetti anziani , con scarse richieste funzionali o in condizioni generali precarie (vasculopatie , diabete, ecc…).
Consiste nella sutura diretta del tendine. Sono descritte numerose tecniche di riparazione ciascuna con vantaggi e svantaggi. Le tecniche percutanee hanno una minore invasività ma spesso non permettono un accostamento esatto dei due moconi ; peraltro le tecniche open sono gravate da un maggio tasso di complicanze relativamente a problemi di cicatrizzazione cutanea e lesioni del nervo surale. Le metodiche più affidabili sembrano essere quelle con mini-open ; queste prevedono un accesso molto limitato che permette tuttavia di controllare l’esatto accostamento dei monconi e di eseguire una riparazione diretta con punti di sutura in materiale riassorbibile.
La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale vengono preferenziate anestesie tronculari (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) o una anestesia spinale selettiva In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.
Normalmente dopo l’intervento viene confezionato una doccia in posizione di lieve equinismo mantenuta 3 settimane senza carico seguita da un ulteriore periodo di immobilizzazione con un tutore in posizione neutra per altre 3 settimane ; in questa seconda fase viene iniziato trattamento fisioterapico di mobilizzazione passiva. Il carico viene concesso dopo 6 settimane intensificando nel contempo programma di rinforzo muscolare.
Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Normalmente l’intervento comporta buoni risultati con tempi di recupero piuttosto standardizzati. La complicanza più temibile è la rirottura del tendine che risulta statisticamente più frequente nelle prime settimane.
Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche , in particolare il diabete , vasculopatie periferiche arteriose e/o venose , uso di farmaci immunosopressori o cortisonici , fumo , presenza di deformità importanti , scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,… Si segnala inoltre che in circa 1/3 dei casi la ripresa dell’attività sportiva avviene a livelli inferiori rispetto al preoperatorio.