Artrosi di caviglia

Definizione

Come tutte le forme di artrosi l’interessamento della caviglia è caratterizzato da una usura meccanica delle cartilagini articolari ; l’usura della cartilagine comporta un notevole aumento dell’attrito nel movimento articolare con conseguente ulteriore usura e progressiva comparsa di una condizione infiammatoria cronica che interessa tutta la regione provocando dolore e limitazione del movimento. Si tratta pertanto di una condizione lentamente ma inevitabilmente peggiorativa.

Sintomatologia

Le cause dell’artrosi di caviglia sono essenzialmente:

  • post-traumatiche in cui un trauma acuto o microtraumi ripetuti hanno provocato un danno articolare ; in particolare è molto frequente la comparsa di artrosi dopo fratture malleolari specie se associate a lussazione o dopo traumi distorsivi ripetuti o in soggetti che praticano attività sportive con microtraumi ripetitivi ; spesso l’artrosi può manifestarsi anche a distanza di molti anni dal trauma iniziale
  • primitive e cioè conseguenti ad una alterata conformazione della caviglia di natura congenita ; in particolare piuttosto frequente è l’artrosi di caviglia associata ad un varismo cioè ad una deviazione all’interno del piede rispetto alla gamba ; queste situazioni interessano di regola entrambe le caviglie.

Clinica

I sintomi sono rappresentati essenzialmente da dolore e progressiva perdita del movimento articolare. Il dolore è presente generalmente al carico , alla stazione eretta prolungata ed in generale durante attività fisica e si riduce con il riposo. Il movimento della caviglia si riduce progressivamente fino in qualche caso a scomparire del tutto. Altri possibili sintomi sono rappresentati da tumefazione locale espressione di sinovite e versamento articolare , rumori articolari al movimento , zoppia , instabilità con difficoltà alla marcia su terreni irregolari ; con il tempo si riduce progressivamente l’autonomia ed il perimetro di marcia. In alcuni casi sono presenti alterazioni dell’asse meccanico della caviglia con deviazione all’interno (varismo) o all’esterno (valgismo) del piede.

Diagnosi

La diagnosi è basata in primo luogo sulla visita del paziente e sull’esame fisico del piede in carico , sul podoscopio , sul lettino e in dinamica (esame della deambulazione). Deve essere valutato

  • il movimento articolare globale della caviglia e del piede ed il movimento residuo dell’articolazione interessata dall’artrosi
  • l’eventuale interessamento artrosico di altre articolazioni del piede , delle ginocchia e delle anche
  • eventuali differenze di lunghezza degli arti
  • l’asse di carico ed eventuali deviazioni in varismo o valgismo
  • la funzionalità muscolare
  • la presenza di una eventuale lassità legamentosa

Dal punto di vista degli esami strumentali sono indispensabili radiografie standard ed in carico che evidenziano riduzione o scomparsa dello spazio articolare e la presenza di osteofiti cioè produzione di becchi ossei al bordo dell’articolazione. Frequentemente lo studio radiografico è esteso all’intero arto inferiore. Altri esami , in particolare la TC e la RMN , non sono indispensabili per la diagnosi ma utili in una seconda fase soprattutto per la programmazione di un eventuale intervento.

Trattamenti non chirurgici

Nei casi iniziali meno gravi il trattamento è conservativo cioè non chirurgico; questo consiste in

  • riduzione del peso ed in generale delle sollecitazioni meccaniche
  • terapia farmacologica con antiinfiammatori o condroprotettori
  • chinesiterapia ed esercizi per mantenere un adeguato tonotrofismo muscolare; terapia fisica strumentale
  • in caso di alterazioni dell’asse meccanico può essere indicato l’uso di plantari per correggere alterazioni statiche
  • si può inoltre far ricorso a terapie infiltrative articolari con cortisoni per ridurre la componente infiammatoria, con acido ialuronico che ha lo scopo di rallentare il peggioramento delle lesioni cartilaginee o con derivati ematici.

Rischi e complicanze in assenza di trattamento

Se non adeguatamente trattata l’artrosi evolve verso un progressivo peggioramento con riduzione del movimento articolare , progressiva riduzione dell’autonomia di marcia , peggioramento di eventuali deviazioni assiali , aumento del dolore.

Rischi e complicanze in assenza di trattamento

Il trattamento chirurgico si rende necessario in caso di fallimento del trattamento conservativo.
I motivi principali per il trattamento chirurgico sono

  • dolore
  • limitazione del movimento
  • instabilità e facilità alle distorsioni
  • zoppia e riduzione dell’autonomia di marcia
  • rapida evolutività della deformità

L’intervento non è consigliabile in casi asintomatici.

Tecniche chirurgiche

Esistono numerosi gesti chirurgici che possono essere utilizzati a seconda della situazione clinica , dello stadio evolutivo e della sintomatologia. Dal punto di vista chirurgico nei casi meno gravi si può prendere in considerazione un intervento artroscopico di “pulizia” articolare con lo scopo di eliminare detriti , osteofiti e tessuti infiammatori e pertanto di rallentare il peggioramento dell’artrosi ; questi interventi possono avere un discreto risultato sulla sintomatologia soggettiva ma difficilmente risolvono il problema nel medio/lungo periodo. In caso di artrosi non avanzata ed in presenza di deviazione dell’asse meccanico può essere indicato un trattamento chirurgico che consiste nella correzione della deviazione ossea con una osteotomia (cioè una frattura creata artificialmente) della parte bassa della tibia che ha lo scopo di distribuire i carichi sull’articolazione in maniera più uniforme. L’osteotomia richiede la fissazione dei segmenti ossei con mezzi di sintesi , in genere placche e viti , per permettere la consolidazione ossea ed un periodo di immobilizzazione e di non carico analogamente a quanto avverrebbe per una frattura. E’ un trattamento che da dei buoni risultati in caso di cartilagini ancora discretamente conservate ; può inoltre essere utilizzato come intervento preliminare e preparatorio per il successivo posizionamento di una protesi.
Nei casi di artrosi avanzata si possono considerare due tipi di intervento:

  • l’artrodesi cioè il bloccaggio chirurgico dell’articolazione ; questo ha il vantaggio di eliminare il dolore e di risolvere definitivamente il problema , per contro riduce drasticamente il movimento complessivo di flessoestensione del piede (circa 2/3 rispetto al normale). Va detto tuttavia che in generale i risultati a distanza sono buoni e che a 20 anni dall’intervento l’80% dei pazienti si dichiara soddisfatto. L’intervento prevede la asportazione delle residue cartilagini articolari , il posizionamento dell’articolazione in una posizione adeguata per una marcia soddisfacente e la fissazione in genere effettuata con viti o placche. In generale occorrono due mesi per la consolidazione dell’artrodesi periodo in cui non è concesso il carico. Il principale inconveniente dell’artrodesi è di comportare nel tempo un sovraccarico sulle articolazioni vicine che vanno incontro ad una progressiva usura da sovraccarico.
  • l’impianto di una protesi totale , cioè una articolazione artificiale analogamente a quanto viene fatto su ginocchio o anca ; ovviamente il vantaggio è che con questo intervento viene mantenuto il movimento articolare eliminando nel contempo il dolore e permettendo una deambulazione molto vicina alla normalità ; per contro l’aspetto negativo è il maggior numero di complicanze rispetto all’artrodesi e soprattutto la durata dell’impianto ; le protesi di ultima generazione hanno sicuramente caratteristiche che fanno prevedere buoni risultati a medio termine ma manca esperienza sui risultati a più lunga distanza. La protesi può comunque essere sostituita con altra protesi (protesi da revisione) o nelle situazioni peggiori essere convertita in artrodesi. Va ancora detto che la protesi non può essere utilizzata in tutte le situazioni di artrosi in quanto non è indicata in caso di necrosi , di importanti deformità o deviazioni assiali , perdita di sostanza ossea , pregresse infezioni.
  • problemi a carico della ferita chirurgica come ritardo di cicatrizzazione, deiescenza, cicatrice cheloidea,…

Le protesi attuali sono costituite da due componenti metalliche che vengono ancorate rispettivamente alla tibia ed all’astragalo ; tra le due è presente un elemento in polietilene (una plastica estremamente resistente) che permette movimenti di flessoestensione e rotazione. L’intervento di sostituzione protesica ha raggiunto attualmente una buona affidabilità e consente di ottenere risultati molto soddisfacenti a patto che siano rispettate scrupolosamente le corrette indicazioni ; la sopravvivenza delle protesi di tibiotarsica è attualmente stimata a circa l’90% degli impianti funzionanti con Paziente soddisfatto dopo 10 anni.

Anestesia

La scelta della tecnica anestesiologica più idonea è compito del Collega anestesista. In generale vengono utilizzate a seconda delle situazioni

  • anestesie tronculari (es. blocco popliteo o blocco alla caviglia) che assicurano una completa analgesia durante l’intervento ed una ottima copertura del dolore post-operatorio
  • anestesia spinale selettiva
  • anestesia generale

In alcuni casi viene associata una sedazione farmacologica.

Post-operatorio

Il post-operatorio dipende dai gesti chirurgici effettuati. In caso di tempi scheletrici viene mantenuta una doccia o tutore a gambaletto per 6/8 settimane senza carico ; in caso di interventi artroscopici è invece frequentemente consentito un carico parziale Normalmente è richiesto un trattamento fisioterapico e di rieducazione funzionale.

Complicanze

Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale. Complicanze aspecifiche sono le infezioni o le complicanze vascolari in particolare a carico della rete venosa ; si tratta comunque di complicanze piuttosto rare che vengono controllate con una opportuna profilassi farmacologia ed igienica. Le complicanze specifiche , cioè proprie di ciascuna tipologia di intervento , possono essere costituite da disturbi di guarigione dell’osso (insufficiente consolidazione ossea) , correzione insufficiente o eccessiva , mobilizzazione dei mezzi di sintesi con perdita di correzione Un problema piuttosto frequente è rappresentato dalla persistenza di gonfiore del piede nelle settimane successive all’intervento ; si tratta di una situazione temporanea causata da difetti circolatori (insufficienza venosa o linfatica , varici , … ) che in genere tende progressivamente a risolversi con la ripresa di una deambulazione regolare. Ovviamente nella qualità del risultato è molto importante la situazione iniziale ; risultati migliori si ottengono in casi di caviglie ben allineate con una anatomia conservata (assenza di deformità , di perdita di sostanza ossea , di deviazioni assiali importanti). In sintesi le principali complicanze possono essere così riassunte

Complicanze generiche
  • infezioni circa 2% dei casi; come prevenzione viene effettata una profilassi antibiotica preoperatoria
  • tromboflebiti circa 5% dei casi; al fine di ridurre il rischio viene effettuata una profilassi con eparina abasso peso molecolare o altri farmaci che andrà protratta fino a normalizzazione del carico
  • Ritardo di guarigione delle ferite chirurgiche
  • Edema residuo; normalmente un edema più o meno importante può risultare presente nei primi sei mesi e talvolta protrarsi anche successivamente e in rari casi non risolversi completamente
  • Algodistrofia o m. di Sudek
  • Complicanze relative all’anestesia
  • Complicanze di ordine generale
Complicanze specifiche
  • in caso di curettage artroscopico
  • persistenza di dolore
  • progressione dell’artrosi
  • in caso di osteotomie
  • persistenza di dolore
  • progressione dell’artrosi
  • ipo- o ipercorrezione
  • mancata consolidazione dell’osteotomia
  • rottura dei mezzi di sintesi
  • in caso di artrodesi
  • persistenza di dolore
  • ipo- o ipercorrezione
  • mancata consolidazione dell’artrodesi
  • rottura dei mezzi di sintesi
  • progressione dell’artrosi in articolazioni adiacenti
  • in caso di protesi
  • mobilizzazione o affondamento della protesi
  • rottura della protesi o di componenti
  • formazione di cisti periprotesiche
  • lussazione delle componenti
  • persistenza di deviazioni assiali (valgismo o varismo)
  • rigidità articolare
  • persistenza di dolore
  • fratture malleolari

Va sottolineato come il tasso di complicanze sia statisticamente più elevato nei reinterventi e che in questi casi , in considerazione della situazione di partenza il risultato finale può non portare al risultato sperato ed in ogni caso è meno prevedibile. Fattori di rischio che comportano aumento delle complicanze sono malattie sistemiche, in particolare il diabete, vasculopatie periferiche arteriose e/o venose, uso di farmaci immunosopressori o cortisonici, fumo, presenza di artrosi, deformità importanti, scarsa collaborazione nel protocollo post-operatorio,…