ARTROSI DI TIBIOTARSICA
DEFINIZIONE
Come tutte le forme di artrosi l’interessamento della caviglia è caratterizzato da una usura precoce delle cartilagini articolari; l’usura della cartilagine comporta un notevole aumento dell’attrito nel movimento articolare
con conseguente ulteriore usura e progressiva comparsa di una condizione infiammatoria cronica che interessa tutta la regione provocando dolore e limitazione del movimento.
Si tratta pertanto di una condizione lentamente ma inevitabilmente peggiorativa.
Le cause dell’artrosi di caviglia sono essenzialmente:
- post-traumatiche in cui un trauma acuto o microtraumi ripetuti hanno provocato un danno articolare; in particolare è molto frequente la comparsa di artrosi dopo fratture malleolari specie se associate a lussazione o dopo traumi distorsivi ripetuti o in soggetti che praticano attività sportive con microtraumi ripetitivi
- primitive e cioè conseguenti ad una alterata conformazione della caviglia di natura congenita; in particolare piuttosto frequente è l’artrosi di caviglia associata ad un varismo cioè ad una deviazione all’interno del piede rispetto alla gamba; queste situazioni interessano di regola entrambe le caviglie.
Fig. 1
Aspetto radiografico di artrosi post-traumatica di tibiotarsica (vista laterale).
Fig. 2
Aspetto radiografico di artrosi post-traumatica di tibiotarsica (vista anteroposteriore)
SINTOMATOLOGIA
I sintomi sono rappresentati essenzialmente da dolore e progressiva perdita del movimento articolare.
Il dolore è presente generalmente al carico, alla stazione eretta prolungata ed in generale durante attività fisica e si riduce con il riposo.
Il movimento della caviglia si riduce progressivamente fino in qualche caso a scomparide del tutto.
Altri sintomi sono rappresentati da tumefazione locale espressione di sinovite e versamento articolare e in qualche caso di alterazione dell’asse meccanico della caviglia con deviazione all’interno (varismo) o all’esterno (valgismo) del piede.
DIAGNOSI
La diagnosi è prevalentemente clinica con l’anamnesi e la visita del Paziente.
Dal punto di vista degli esami strumentali sono indispensabili radiografie standard ed in carico che evidenziano riduzione o scomparsa dello spazio articolare e la presenza di osteofiti cioè produzione di becchi ossei al bordo dell’articolazione.
Altri esami, in particolare la TC, sono utili in una seconda fase soprattutto per la programmazione di un eventuale intervento.
TRATTAMENTO
Nei casi iniziali meno gravi il trattamento è conservativo cioè non chirurgico; questo consiste in
- riduzione del peso ed in generale delle sollecitazioni meccaniche
- terapia farmacologica con antiinfiammatori o condroprotettori
- chinesiterapia ed esercizi per mantenere un adeguato tonotrofismo muscolare; terapia fisica strumentale
- in caso di alterazioni dell’asse meccanico può essere indicato l’uso di plantari per correggere alterazioni statiche
- si può inoltre far ricorso a terapie infiltrative articolari con cortisoni per ridurre la componente infiammatoria, acido ialuronico che ha lo scopo di rallentare il peggioramento delle lesioni cartilaginee o derivati ematici.
Dal punto di vista chirurgico nei casi meno gravi si può prendere in considerazione un intervento artroscopico di “pulizia” articolare con lo scopo di eliminare detriti, osteofiti e tessuti infiammatori e pertanto di rallentare il peggioramento dell’artrosi; questi interventi possono avere un discreto risultato sulla sintomatologia soggettiva ma difficilmente risolvono il problema nel medio/lungo periodo.
In caso di artrosi non avanzata ed in presenza di deviazione dell’asse meccanico può essere indicato un trattamento chirurgico che consiste nella correzione della deviazione ossea con una osteotomia (cioè una frattura creata artificialmente) della parte bassa della tibia che ha lo scopo di distribuire i carichi sull’articolazione in maniera più uniforme.
L’osteotomia richiede la fissazione dei segmenti ossei con mezzi di sintesi, in genere placche e viti, per permettere la consolidazione ossea ed un periodo di immobilizzazione e di non carico analogamente a quanto avverrebbe per una frattura.
E’ un trattamento che da dei discreti risultati in caso di cartilagini ancora ben conservate; può inoltre essere utilizzato come intervento preliminare e preparatorio per il successivo posizionamento di una protesi.
Nei casi conclamati si possono considerare due tipi di intervento:
- l’artrodesi cioè il bloccaggio chirurgico dell’articolazione; questo ha il vantaggio di eliminare il dolore e di risolvere definitivamente il problema, per contro riduce drasticamente il movimento complessivo di flessoestensione del piede (circa 2/3 rispetto al normale). Va detto tuttavia che in generale i risultati a distanza sono buoni e che a 20 anni dall’intervento l’80% dei pazienti si dichiara soddisfatto. L’intervento prevede la asportazione delle residue cartilagini articolari, il posizionamento dell’articolazione in una posizione adeguata per una marcia soddisfacente e la fissazione in genere effettuata con viti. In generale occorrono due mesi per la consolidazione dell’artrodesi periodo in cui non è concesso il carico. Il principale inconveniente dell’artrodesi è di comportare nel tempo un sovraccarico sulle articolazioni vicine che vanno incontro ad una progressiva usura.
- l’impianto di una protesi totale, cioè una articolazione artificiale analogamente a quanto viene fatto su ginocchio o anca; ovviamente il vantaggio è che con questo intervento viene mantenuto il movimento articolare eliminando nel contempo il dolore e permettendo una deambulazione molto vicina alla normalità; per contro l’aspetto negativo è il maggior numero di complicanze rispetto all’artrodesi e soprattutto la durata dell’impianto; le protesi di ultima generazione hanno sicuramente caratteristiche che fanno prevedere buoni risultati a medio termine ma manca esperienza sui risultati a più lunga distanza. La protesi può comunque essere sostituita con altra protesi o nelle situazioni peggiori essere convertita in artrodesi. Va ancora detto che la protesi non può essere utilizzata in tutte le situazioni di artrosi in quanto non è indicata in caso di necrosi o di importanti deviazioni assiali.
Le protesi attuali sono costituite da due componenti metalliche che vengono ancorate rispettivamente alla tibia ed all’astragalo; tra le due è presente una struttura in polietilene (una plastica estremamente resistente) che permette movimenti di flessoestensione e rotazione.
L’intervento di sostituzione protesica ha raggiunto attualmente una buona affidabilità e consente di ottenere risultati molto soddisfacenti a patto che siano rispettate scrupolosamente le corrette indicazioni; la sopravvivenza delle protesi di tibiotarsica è attualmente stimata a circa l’90% degli impianti funzionanti con Paziente soddisfatto dopo 10 anni.
Fig. 3
Radiografia di artrodesi di tibiotarsica (vista anteroposteriore)
Fig. 4
Radiografia di artrodesi di tibiotarsica(vista laterale).
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Fig. 5
Radiografia di protesi di tibiotarsica(vista laterale).