ALLUCE RIGIDO

DEFINIZIONE
Il termine "alluce rigido" indica l'artrosi dell'articolazione matatorsofalangea. L'artrosi è caratterizzata da una progressiva usura della cartilagine articolare che comporta un graduale irrigidimento dell'articolazione.

Come tutte le forme di artrosi si tratta di una patologia evolutiva che tende progressivamente a peggiorare con il passare del tempo. Le cause sono nella maggior parte secondarie ad una anomalia della forma delle superfici articolari che vanno incontro ad una usura precoce , ma possono essere anche dovute a traumi, ad infezioni, ad esiti di interventi chirurgici, …


Aspetto clinico di alluce rigido con il caratteristico aspetto di iperostosi dorsale (“dorsal bunion”)

Fig. 1


Aspetto clinico di alluce rigido con il caratteristico aspetto di iperostosi dorsale (“dorsal bunion”)


 

SINTOMATOLOGIA

La progressiva usura della cartilagine articolare comporta un graduale irrigidimento dell’articolazione fino ad un blocco pressochè completo; inoltre comporta la formazione di becchi ossei (osteofiti) che deformano l’articolazione e ne aumentano il volume specie della parte dorsale.

Il paziente in genere lamenta dolore dovuto all’attrito dei capi articolari nel movimento residuo ed allo sfregamento degli osteofiti con la calzatura e la conseguente formazione di borsiti.

Il dolore e la rigidità aumentano progressivamente ostacolando la deambulazione specie nella fase di spinta del passo; inoltre gli osteofiti si accrescono progressivamente specie sul dorso dell’articolazione ostacolando o rendendo difficoltosa la calzata della scarpa.

Al contrario dell’alluce valgo nell’alluce rigido il dito rimane in asse e ben allineato con il resto del piede.

Aspetto clinico di alluce rigido stadio III con voluminosi  osteofiti dorsali e scomparsa della cartilagine articolare

 

Fig. 2
Aspetto clinico di alluce rigido stadio III con voluminosi
 osteofiti dorsali e scomparsa della cartilagine articolare

 

 

 

DIAGNOSI

La diagnosi è basata in generale sulla clinica che come detto in precedenza è caratterizzata da dolore articolare, diminuzione del movimento e tumefazione ossea specie nella parte dorsale dell’articolazione.

L’esame strumentale più utile è la radiografia in due proiezioni in carico; questa evidenzia la scomparsa della cartilagine articolare con avvicinamento delle superfici ossee  e la presenza degli osteofiti cioè dei caratteristici becchi ossei specie sulla parte dorsale dell’articolazione.

Altri esami complementari, come l’ecografia, o più complessi come la RMN o la TC, sono in genere superflui e poco utili per la diagnosi.

 

Quadro radiografico di alluce rigido stadio III a sn confrontato con articolazione pressochè normale a dx

 

 

 

 

 

 

Fig. 3
Quadro radiografico di alluce rigido stadio III a sn confrontato con articolazione pressochè normale a dx

 

 



 

TRATTAMENTI  NON  CHIRURGICI

Sono finalizzati soprattutto a ridurre il dolore ed a migliorare la deambulazione.

I principali sono:

-  terapie farmacologiche analgesiche e/o antiinfiammatorie per via generale
-  terapie fisiche strumentali con effetto antiinfiammatorio; sono invece controindicati trattamenti di mobilizzazione manuali
-  uso di calzature comode con suola poco flessibile ed eventualmente con suola convessa per facilitare la fase finale del passo;

   in casi specifici uso di ortesi plantari personalizzate
-  infiltrazioni articolari cortisoniche o con acido ialuronico.



TRATTAMENTO  CHIRURGICO

Il trattamento chirurgico è in generale proposto in caso di scarso beneficio della terapia conservativa, in caso di rapida progressione o d’emblée in casi particolarmente gravi.

Esistono diverse tipologie di interventi che vengono utilizzati a seconda dello stadio evolutivo dell’artrosi e/o delle caratteristiche del paziente.

Alcuni di questi, in generale utilizzati in casi non troppo gravi con una articolarità ancora discretamente conservata, hanno la finalità di migliorare il movimento e di bloccare o rallentare il peggioramento dell’artrosi; consistono nell’asportazione degli osteofiti (cheilectomia) e/o nell’uso di osteotomie che decomprimono l’articolazione.

In casi più avanzati con importante compromissione dell’articolazione si utilizzano interventi di bloccaggio definitivo dell’articolazione (artrodesi), di asportazione di parte delle superfici articolari (artroplastiche) o nel posizionamento di protesi o spaziatori.

 

Cheilectomia

Si tratta dell’asportazione dei becchi ossei ed in generale in una pulizia chirurgica e mobilizzazione dell’articolazione; è un intervento che in genere da solo produce risultati limitati in quanto non modifica sostanzialmente la meccanica dell’articolazione e non impedisce la progressione dell’artrosi; determina invece buoni risultati sulla miglior calzabilità per la riduzione delle prominenze ossee.

 

Osteotomie di decompressione

Vengono in genere associate ad interventi di cheilectomia per avere un risultato più duraturo; consistono in tagli ossei (osteotomie) che, come fratture artificiosamente prodotte, permettono di decomprimere o di riorientare le superfici  cartilaginee residue al fine di rallentare o bloccare la progressione dell’artrosi. In questi casi vengono in genere utilizzati mezzi di sintesi (viti, placche, fili, ...) per fissare stabilmente l’osteotomia.

 

Artrodesi

Si tratta del bloccaggio chirurgico dell’articolazione che viene fissata in una posizione che permette un soddisfacente svolgimento del passo; è un intervento che viene riservato ai casi più avanzati su articolazioni già rigide. Permette di avere buoni risultati sul dolore e risolve in maniera definitiva la patologia.

L’intervento consiste nella rimozione degli osteofiti e delle residue cartilagini articolari, nel posizionamento in posizione funzionale dei capi articolari e nella loro fissazione stabile con viti, placche o fili metallici.

 

Artroplastiche

L’intervento consiste nella asportazione di una parte dell’articolazione, in genere la base della prima falange, in modo da decomprimere l’articolazione e di ripristinare parte del movimento.

 

Protesi o spaziatori

In questo caso vengono asportate le due superfici articolari, metatarsale e falangea, e sostituite con protesi che vicariano l’articolazione; queste protesi possono sostituire i due capi articolari  (protesi vere e proprie), analogamente a quanto viene attuato su articolazioni maggiori come anca o ginocchio, o funzionare come elementi di interposizione tra i due capi articolari (spaziatori). In ogni caso la finalità è quella di ripristinare un certo movimento articolare eliminando nel contempo il dolore.

 

 

 

PRESA  IN  CARICO  E  DECORSO  POST-OPERATORIO

L’intervento è eseguito in genere in anestesia periferica con blocco dei tronchi nervosi o anestesia spinale; in casi particolari in anestesia locoregionale o generale; la decisione sul tipo di anestesia è di competenza dello specialista anestesista che deciderà la metodica più idonea per il singolo paziente.

La dimissione viene di solito effettuata il giorno successivo l’intervento; in casi particolari l’intervento viene effettuato in regime di Day-Surgery.

Il carico è in genere concesso con calzatura post-operatoria.

Nel post-operatorio vengono effettuate medicazioni a cadenza programmata; controlli radiografici vengono eseguiti per verificare la consolidazione di osteotomie e artrodesi.

In alcuni casi è previsto un trattamento fisioterapico e riabilitativo.

In caso di cheilectomia, osteotomie e artroplastiche verranno effettuati controlli periodici clinici e radiografici per monitorare nel tempo l’evoluzione dell’articolazione.

In caso di artrodesi una volta verificata la consolidazione il risultato può essere considerato stabile e la sorveglianza può essere limitata alle articolazioni adiacenti.

Una sorveglianza più attenta è invece necessaria per gli interventi che prevedono impiego di protesi o spaziatori, dispositivi che sono soggetti nel tempo a fenomeni di usura e di mobilizzazione.

 

 

 

COMPLICANZE

Ciascun gesto chirurgico, anche banale, non è mai privo di rischi; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica, anche da parte del Paziente, valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici).

Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento, alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi, al sopravvenire di problemi diversi, spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci, malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici, alterazioni circolatorie, il fumo o l’assunzione di droghe, la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze.

Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale.

 

COMPLICANZE GENERICHE

-   infezioni   circa 4-5% dei casi ; come prevenzione viene effettata una profilassi antibiotica preoperatoria; in caso di infezione profonda è quasi sempre necessario un intervento di revisione con asportazione del materiale impiantato e bonifica del focolaio

-   tromboflebiti   circa 5% dei casi ; al fine di ridurre il rischio viene effettuata una profilassi con eparina a basso peso molecolare o altri farmaci che andrà protratta fino a normalizzazione del carico

-   problemi a carico della ferita chirurgica come ritardo di cicatrizzazione, deiescenza, cicatrice cheloidea, …

-   ematoma in sede di intervento; in questo caso può essere necessario un intervento di revisione e drenaggio

-   edema residuo; normalmente un edema più o meno importante può risultare presente nei primi sei mesi e talvolta protrarsi anche successivamente e in rari casi non risolversi   completamente; richiede spesso un trattamento specifico farmacologico o fisioterapico

-   algodistrofia o m. di Sudek: si tratta di una sindrome dolorosa regionale scatenata dall’intervento che comporta alterazioni del microcircolo; la durata può essere anche molto lunga di qualche mese e può lasciare come esito rigidità e/o alterazioni trofiche

-   lesioni dei nervi di vicinanza al sito chirurgico con correlata sintomatologia algoparestesica

-   complicanze relative all’anestesia

-   complicanze di ordine generale

 

COMPLICANZE SPECIFICHE

 

Nel caso di cheilectomia, osteotomie e artroplastiche

-       progressione dell’artrosi con persistenza di limitazione articolare; in rari casi peggioramento della rigidità articolare

-       mancata fusione dell’osteotomia  specie in soggetti fumatori, vasculopatici, diabetici, ecc.

-       malconsolidazione dell’osteotomia per dislocazioni secondarie specie in caso di scarsa qualità del tessuto osseo

-       rottura, mobilizzazione o intolleranza ai mezzi di sintesi

-       metatarsalgia in corrispondenza del I° metatarsale o dei raggi vicini per trasferimento di carico

-       intrappolamento o sezione di tronchi nervosi con secondaria sintomatologia anestesica o parestesica

 

Nel caso di artrodesi

-       mancata fusione dell’artrodesi specie in soggetti fumatori, vasculopatici, diabetici, ...

-       malconsolidazione dell’artrodesi con alterata posizione dell’alluce sul piano trasverso (varo-valgo), sul piano sagittale (estensione- flessione), sul piano frontale (malrotazioni)

-       sovraccarico delle articolazioni adiacenti interfalangea e cuneometatarsea con dolore locale

-       alterazioni da sovraccarico sui raggi vicini

-       alterazioni della marcia per scarso adattamento alla nuova situazione meccanica

 

Nel caso di protesi o spaziatori

-       rigidità dolorosa dell’articolazione

-       mobilizzazione o rottura dell’impianto

-       metatarsalgie di trasferimento o altre alterazioni da sovraccarico sui raggi laterali

 

Alcune di queste condizioni richiedono un trattamento chirurgico di ripresa.