TALLODINIE PLANTARI

DEFINIZIONE 
La tallodinia non è una malattia ma bensì un sintomo ed indica genericamente la presenza di dolore al tallone.

La tallodinia non è una malattia ma bensì un sintomo ed indica genericamente la presenza di dolore al tallone.

Le tallodinie plantari sono nella gran parte dei casi causate da una infiammazione cronica della fascia plantare nel punto in cui si inserisce al calcagno; tale punto viene denominato entesi e pertanto il processo infiammatorio prende nome di entesite o entesopatia. Esiste comunque frequentemente associata una componente degenerativa legata a fenomeni di usura.

La causa è in genere rappresentata da una anomala tensione della fascia plantare; tale condizione si osserva molto frequentemente in presenza di anomalie statiche del piede, più frequentemente nel piede cavo ma talvolta anche nelle anomale pronazioni. L’eccessiva tensione della fascia provoca col tempo , nel punto di inserzione all’osso la formazione di una caratteristica ossificazione (“entesofita” o più comunemente spina calcaneale); alla spina calcaneale viene spesso attribuita l’origine del dolore mentre in realtà è chiaramente dimostrato che essa non comporta alcuna sintomatologia (esiste semplicemente una coincidenza tra la sede del dolore  , cioè la zona in cui la fascia plantare si inserisce sull’osso , ed il punto in cui si sviluppa la spina calcaneale).  In generale la patologia si riscontra più frequentemente a seguito di sollecitazioni ripetute specie in soggetti sovrappeso o che trascorrono molte ore in piedi o che praticano attività sportive.

In casi molto più rari le tallodinie plantari sono causate da malattie infiammatorie (come le artriti sieronegative) mentre si osservano con una maggiore frequenza nelle patologie dismetaboliche (gotta, diabete, ipercolesterolemia, ...).

Altre cause rare di tallodinia plantare sono patologie primitive dell’osso (neoplasie, fratture da durata, m. di Paget, …), patologie non infiammatorie delle parti molli, sindromi neurologiche (compressione dei rami calcaneali del nervo tibiale posteriore).

 

SINTOMATOLOGIA

Nelle tallodinie da entesopatia inserzionale il dolore è caratteristicamente presente all’inizio del movimento (i primi passi al mattino) e spesso migliora con l’uso salvo nuovamente peggiorare dopo prolungata stazione eretta. In genere l’aspetto del piede è normale (non tumefazione, termotatto normale) mentre è presente dolore alla palpazione dell’inserzione della fascia plantare e talvolta al suo terzo medio-prossimale.

Nelle forme secondarie a patologie reumatologiche spesso la sintomatologia è presente soprattutto a riposo ed è presente tumefazione e aumento del termotatto; ovviamente spesso in questi casi sono spesso presenti altri sintomi (dolori vertebrali, al bacino, …).

 

 

DIAGNOSI

La diagnosi viene fatta con la descizione dei sintomi fatta dal paziente e dalla visita che permette nella maggior parte dei casi di evocare il dolore caratteristico con la pressione in corrispondenza della inserzione fasciale ed al II medioprossimale.

Dal punto di vista degli esami strumentali l’esame rx grafico è utile per escludere patologie ossee; la presenza di spina calcaneale non serve in ogni caso per fare diagnosi ma è semplicemente indice di tensione eccessiva della fascia plantare.  Può essere utile un esame ecografico che valuta in particolare lo spessore della fascia plantare.

Esami più sofisticati come la RMN, la TC o la scintigrafia vanno eseguiti nei casi dubbi per escludere patologie di diversa origine.

Può essere indicata anche l’esecuzione di esami ematochimici per la diagnosi differenziale con patologie reumatiche o metaboliche.

 

 

TRATTAMENTO

Nelle tallodinie da entesopatia calcaneale il primo provvedimento è la correzione dei fattori meccanici come la riduzione del peso ed il cambiamento di abitudini di vita (es. terreni di allenamento negli sportivi, calzature più ammortizzanti, riduzione generica delle sollecitazioni); inoltre è indispensabile il compenso o la correzione di eventuali alterazioni statiche come uso di ortesi per piede cavo o per piede pronato.

In alcuni casi buoni risultati possono essere ottenuti con l’uso di talloniere o solette in materiali specifici che hanno lo scopo di assorbire i traumi e le vibrazioni, o alzando l’altezza del tacco per spostare il peso sull’avampiede.

Le terapie farmacologiche con antiinfiammatori risultano in genere poco efficaci per la scarsa vascolarizzazione dei tessuti interessati dall’infiammazione; risultati contrastanti si hanno anche con le terapie fisiche tradizionali (ultrasuonoterapia, laserterapia, ...).

Sicuramente efficace risulta invece il trattamento meccanico di stretching della fascia plantare e della muscolatura posteriore della gamba che ha lo scopo di aumentare l’elasticità dei tessuti; tale effetto può essere anche ottenuto con ortesi notturne.

Notevole efficacia hanno invece le infiltrazioni locoregionali cortisoniche ed in particolare i trattamenti con onde d’urto focali (ESW).

Da alcuni anni vengono anche utilizzati con buoni risultati, isolatamente o in associazione ad altre metodiche, trattamenti con derivati piastrinici che hanno lo scopo di stimolare la guarigione dei tessuti fibrosi in particolare tendinei.

Nei casi ribelli al trattamento conservativo, che comunque nella gran parte dei casi è sufficiente da solo a risolvere il problema purchè prolungato per un periodo adeguato, può essere considerato il trattamento chirurgico.

Questo consiste nell’allungamento chirurgico della fascia plantare: nella maggior parte dei casi l’intervento viene condotto attraverso una incisione puntiforme e la fascia allungata con apposito dispositivo; in casi particolari occorre resecare una piccola porzione della fascia ed eseguire perforazioni nel calcagno per ridurre l’edema osseo. Non ha invece alcun interesse la resezione della “spina” calcaneale.

Il decorso post-operatorio è in generale piuttosto semplice con carico a tolleranza ed esercizi di mobilizzazione ed allungamento precoci.

Anche se l’intervento è semplice ed il decorso post-operatorio non impegnativo i tempi di recupero sono piuttosto lunghi in quanto non raramente occorrono dai 3 ai 6 mesi per una stabilizzazione definitiva del risultato.

Occorre comunque sottolineare come anche l’intervento non risulta efficace se non vengono corrette eventuali alterazioni statiche preesistenti.

L’intervento non è esente da rischi e pertanto è opportuno decidere per una soluzione chirurgica solo in caso di dolore importante e persistente.

Le complicanze incidono per il 10% dei casi e sono rappresentate da:

-     recidiva della sintomatologia dolorosa (in circa il 5% dei casi) riferibile prevalentemente a persistenza di fenomeni infiammatori che perturbano il normale processo di guarigione; talvolta è possibile completare il trattamento con infiltrazioni cortisoniche o in casi rari reintevenire chirurgicamente

-     infezione: può essere precoce o tardiva ed essere favorita da situazioni di immunodepressione, fumo, diabete, ecc.; richiede un trattamento farmacologico antibiotico e talvolta un drenaggio chirurgico

-     algodistrofia: è una sindrome dolorosa imprevedibile la cui natura non è ancora completamente chiara anche se probabilmente mediata da stimoli di terminazioni nervose periferiche; si risolve con adeguata terapia farmacologica e fisioterapica ma il decorso è piuttosto lungo e possono residuare esiti in rigidità articolare o disturbi trofici.