PROTESI DI CAVIGLIA
Le protesi sono dispositivi artificiali che sostituiscono un organo o parte di esso; nel caso delle protesi articolari si tratta di dispositivi che sostituiscono in maniera totale o parziale una articolazione.
Le protesi sono dispositivi artificiali che sostituiscono un organo o parte di esso; nel caso delle protesi articolari si tratta di dispositivi che sostituiscono in maniera totale o parziale una articolazione.
Mentre per altre articolazioni, in particolare per anca e ginocchio, l’intervento di sostituzione protesica è una pratica piuttosto diffusa, per la caviglia l’esperienza è ancora relativamente recente.
Il trattamento in caso di grave artropatia degenerativa o infiammatoria con importante compromissione articolare consiste sostanzialmente nella sostituzione protesica (soluzione scontata per anca e ginocchio) o nell’intervento di artrodesi, cioè il bloccaggio chirurgico definitivo dell’articolazione.
La scarsa diffusione della protesi di caviglia dipende da due motivi principali :
• la validità dell’intervento di artrodesi di caviglia se eseguito con buona tecnica e con corretto posizionamento dei segmenti ossei (80% di buoni risultati a 20 anni dall’intervento)
• la scarsa sopravvivenza degli impianti protesici con i modelli utilizzati fino a circa 20 anni fa (40% di fallimenti a 5 anni)
Tutto ciò ha determinato scarso interesse da parte dei chirurghi, scarso interesse da parte delle ditte costrutrici delle protesi e scarsa ricerca sull’argomento.
Tuttavia negli ultimi 20 anni si è verificata una inversione di tendenza con comparsa di modelli protesici più affidabili nonostante la grande difficoltà tecnica nella protesizzazione di una articolazione molto complessa dal punto di vista biomeccanico qual è la tibiotarsica.
Per contro l’intervento di artrodesi, pur essendo una valida alternativa, determina sovraccarico sulle articolazioni vicine che a lungo andare possono deteriorarsi, comporta una inevitabile alterazione della marcia e non è scevro da complicanze ( fino al 10% di reinterventi per mancata fusione).
Le protesi di caviglia attualmente utilizzate sono tutte costituite da tre componenti; due componenti in metallo (leghe in cromo-cobalto con rivestimento in titanio-idrossiapatite) rispettivamente per la tibia e per l’astragalo ed un menisco mobile interposto in polietilene.
Le indicazioni sono rappresentate da forme gravi ed avanzate di artrosi, primaria o post-traumatica, artriti infiammatorie (in particolare artrite reumatoide) e altre forme più rare (artropatie secondarie ad emocromatosi, emofilia, gotta,…) con associata sintomatologia dolorosa e limitazione funzionale.
I requisiti ideali sono casi con scarse deformazioni, cute integra, sufficiente mobilità, non interventi precedenti, soggetti ultra sessantacinquenni possibilmente con ridotte richieste funzionali. L’età non è ovviamente un fattore determinane in quanto le protesi possono essere utilizzate anche in soggetti relativamente giovani ovviamente con la prospettiva futura di un successivo intervento di sostituzione protesica o di eventuale artrodesi.
Rappresentano invece controindicazioni all’intervento di sostituzione protesica le pregresse infezioni, gravi deformità in varo-valgo, necrosi dell’astragalo, perdite di sostanza articolari, gravi e protratte rigidità articolari, lesioni cutanee, instabilità articolare, presenza di neuromiopatie o condizioni neurologiche; inoltre soggetti in eccesso ponderale o dediti ad attività particolarmente usuranti.
Come esposto esistono pertanto situazioni in cui l’intervento protesico non è indicato e pertanto occorre orientarsi sull’artrodesi, situazioni in cui entrambe le soluzioni sono applicabili e casi in cui è sicuramente preferibile la protesi come ad esempio in soggetti affetti da compromissione articolare multipla (tipicamente soggetti affetti da artrite reumatoide magari già portatori o candidati ad interventi di sostituzione protesica alle anche o alle ginocchia, soggetti con compromissione di entrambe le caviglie o soggetti con rigidità di più articolazioni del piede).
Fig. 1
Controllo radiografico ad un anno di distanza dall’intervento di protesi di tibiotarsica impiantata per esiti traumatici.
L’intervento viene eseguito in anestesia spinale con accesso anteriore.
Nel post-operatorio viene mantenuta immobilizzazione in doccia gessata per 2 settimane per favorire la guarigione della ferita chirurgica; successivamente si posiziona l’arto in un tutore a gambaletto con carico parziale ed inizio della chinesiterapia; il carico completo senza tutore viene di regola concesso dopo controllo radiografico alle 8 settimane.
Fig. 2
Immagine intraoperatoria di protesi di caviglia.
Le complicanze principali, che incidono globalmente nell’ordine del 20% dei casi sono rappresentate da:
• complicanze intraoperatorie: fratture malleolari, lesioni dei nervi superficiali o profondi, lesioni vascolari, malposizionamento delle componenti protesiche;
• complicanze post-operatorie precoci: necrosi cutanea, ritardi di cicatrizzazione, ematomi, infezioni precoci, lussazione del menisco, instabilità articolare;
• complicanze post-operatorie tardive: rigidità articolare, mobilizzazione asettica, infezioni tardive, calcificazioni periprotesiche, impingement periprotesici, dolore idiopatico.
La protesi di tibiotarsica rappresenta quindi attualmente una buona soluzione in caso di grave artropatia di caviglia.
Le protesi oggi utilizzate presentano requisiti di una adeguata sopravvivenza, possibilità di revisione con sostituzione con altra protesi in caso di fallimento e possibilità di essere riconvertite in artrodesi.
La sopravvivenza media degli impianti è stimata all’80% dei casi a 10 anni dall’intervento con un significativo miglioramento della sintomatologia dolorosa e della funzionalità articolare.